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di Alessia Romano

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“Sfortunatamente devo descrivere due libertini; aspettati perciò particolari osceni, e scusami se non li taccio. Ignoro l’arte di dipingere senza colori; quando il vizio si trova alla portata del mio pennellom lo traccio con tutte le sue tinte, tanto meglio se rivoltanti; offrirle con tratto gentile è farlo amare, e tale proposito è lontano dalla mia mente”

Marchese de Sade, Aline e Valcour – Ventitreesima lettera: Déterville a Valcour

Da critico, Luis Buñuel si fa sin da subito notare per la divergenza di opinioni dimostrate rispetto ai suoi contemporanei: Buñuel elogia Stroheim e Dreyer, disprezza i trucchi cinematografici, prende le distanze dal naturalismo progettando un cinema magnifico e crudele in cui l’immagine filmica è materia dinamica utile alla creazione di una unione di pezzi in successione: lo sfilare delle immagini si proietta prima nel cervello del cineasta, sta all’autore visualizzare mentalmente la dinamica delle inquadrature, il montaggio è solo un mero strumento dell’infinita libertà dell’immaginazione. Gli esordi di Buñuel al cinema sono aggressivi, contestati e più di un volta censurati. Ma aprono al regista una carriera di certo non priva di trasformazione. Con Un Chien Andalou (1928) L’Ãge d’or (1930) il regista novizio inaugura la propria produzione cinematografica e quella prettamente surrealista, nata e morta con le due fondamentali pellicole, esempi di ideologie, argomenti e simbologie difficilmente ripetute e ripetibili in futuro. Come da pugile col suo montante attacca, così fa con le sue immagini: l’impetuosa aggressività presentata sul ring è perpetuata ora sulla pellicola cinematografica, testimone di riuscita provocazione.

Age d'Or

L’Âge d’Or, 1933

Il cinema di Luis Buñuel è scomodo, ripugnante, rivelatore, inestinguibilmente “anti”: la vena critica e ribelle del regista si riflette nelle sue pellicole, rendendole materia di denuncia sociale, politica, religiosa, sin dai primi due film in cui tutte le strutture preformate vengono ridicolizzate, ogni norma prevista è scardinata e i loro personaggi, la quale primitività è inesorabilmente soffocata dalle leggi sociali, conducono una continua lotta per la liberazione dei propri istinti inamidati. Come secondo l’autentico realismo spagnolo, Luis Buñuel analizza la maschera dell’apparenza per rivelare ciò che essa nasconde, e come nelle migliori testimonianze di pittura barocca spagnola è il grottesco, il mostruoso a essere usato come significante. Nel 1928 i colori terrosi di Velázquez non possono essere ancora impressionati sulla pellicola cinematografica, ma le atmosfere lugubri e le deformazioni fisiche, alla sua opera molto care, tornano a nuova vita con i film di Buñuel.

L'age d'or

L’Âge d’Or, 1933

Così, tra le immagini del caleidoscopio buñueliano, viene portata a nuova luce l’estetica del brutto, che il regista prima ammira nell’opera di Stroheim, poi introduce nella propria. Gli aspetti più laidi e grevi del reale diventano nuovi protagonisti e mezzi descrittivi, gli uomini sono raccontati nella loro spregevolezza e volgarità. L’osceno riprende vita come nuova, irresistibile forma espressiva e mezzo aggressivo attraverso cui è possibile violare e sconvolgere il tepore a cui lo spettatore è sempre stato abituato.

simon del deserto

Simon del desierto, 1965

Madre e insieme custode del “brutto”, la crudeltà è uno dei tempi principali trattati dall’immaginario surrealista, accompagnato dalla teorica di Artaud e dalle sue sceneggiature, per cui l’autore prevede la presenza necessaria di tematiche violente  e potenzialmente eversive. Nel 1938 lo stesso pubblica il volume, censurato, Il teatro e il suo doppio, in cui la crudeltà è teorizzata come “valore cosmico […]necessità implacabile”: erotismo, violenza, ossessione, menzogna e sadismo sono solo alcuni degli elementi che Artaud si prefigge di utilizzare con la massima trasparenza, e con lui Luis Buñuel si impegnerà nel trasportarli al cinema come mezzo di liberazione del soggetto, che rifiutando i valori ufficiali e preferendo la radicalità della perversione, affranca la propria solitudine.

L’Âge d’Or, 1933

Campo di esercizio della crudeltà preferito dal regista è lo sconfinato mondo del desiderio. Il rapporto uomo-donna si consuma, non sempre con le carni, in modo violento. Nell’affermare l’indipendenza della pulsione sessuale dalle costrizioni dell’etica tradizionale Buñuel tende a fornire i suoi personaggi di desiderio di assoluta amoralità, trasgressione violenta dei limiti imposti. Nell’introdurre l’universo del desiderio e descrivere gli atteggiamenti dell’uomo e della donna all’interno di esso, Buñuel abbatte ogni parete ricalcando l’opera del Marchese de Sade, estremo esponente dell’illuminismo e immortale ispiratore.

Continua il 12 Giugno 2017 con un focus su Un Chien Andalou (1928), stay tuned!